Dolce&Gabbana ci ricasca: il nuovo spot fa indignare Pattada e la Sardegna

MILANO. Uno scivolone dopo l’altro, non si può definire diversamente la situazione attuale del noto marchio di moda italiano di Dolce&Gabbana. Dopo i 3 video pubblicitari che hanno destato scandalo in Cina, dopo la pubblicazione di alcune conversazioni private e accuse di hackeraggio del profilo Instagram di uno dei due stilisti, il brand ci ricasca.

Certo, la gaffe cinese ha procurato non pochi danni al marchio: prima con l’annullamento della sfilata e in seguito con il boicottaggio dei prodotti a marcio D&G da parte dei più grandi e-commerce cinesi. La gaffe sarda, tuttavia, rischia di avere conseguenze peggiori; ma andiamo con ordine: tutto è cominciato questa mattina quando sul profilo Instagram del brand è stato pubblicato un nuovo spot per la campagna pubblicitaria di un evento di presentazione prodotti in programma a Cagliari.

Lo spot, analogamente a quello cinese (l’ideatore della campagna è evidentemente lo stesso e a corto di fantasia), mostrava una donna sarda in abito tradizionale che, dotata di una pattadese tarocca di fattura industriale, si trovava alle prese prima con un piatto di spaghetti, quindi con un cannolo siciliano. Anche in questo spot la domanda sessista: “È troppo grande per te?”, sebbene con la sostanziale differenza che la donna avrebbe dapprima risposto: “Atter’e che custu nd’apo ‘idu” (La mia pluriennale esperienza mi ha consentito di vederne di dimensioni ben maggiori ndr), quindi si sarebbe alzata a prendere a schiaffi la voce fuori campo.

Il siparietto non è comunque piaciuto in Sardegna e le conseguenze che si preannunciano sul mercato paiono essere disastrose per il marchio: l’ABBA (Associazione Bancarelle e Barracche Ambulanti) ha fatto sapere che in tutti i mercati della Sardegna gli ambulanti smetteranno di vendere le contraffazioni di capi D&G in segno di protesta; quanto ai negozi ufficiali, il loro fatturato era già esiguo rispetto a quello registrato nelle botteghe di contraffazione. Le stime parlando quindi di un danno di immagine incalcolabile e di un danno economico quantificabile in quasi 97,88 €/anno (in quanto il marchio Dolce&Gabbanu spacciato nelle bancarelle, ovviamente, non generava incasso per la casa madre)

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